In via del tutto fortuita e avvenuta la scoperta di un pavimento musivo nella zona di Staranzano, a Nordest dell’abitato della proprietà della chiesa parrocchiale.
La pronta segnalazione da parte del comune ha fatto sì che la Soprintendenza alle antichità delle Venezie abbia potuto intervenire tempestivamente a prender visione del caso. Sotto la guida solerte dell’assistente tecnico G. Runcio lo scavo è stato iniziato e, per l’accordo raggiunto tra Comune la Chiesa Parrocchiale e il proprietario della terra confinante, signor E. Laurentic, ha potuto essere ampliato per una superficie di metri quadri 128, ad una profondità costante di metri 0,80 dal piano di campagna.
La difficoltà dell’opera è stata data soprattutto dal terreno fortemente argilloso e dalla bontà delle colture viticole e fruttifere della zona, che hanno elevato non poco le indennità da pagare e proprietari per il danno subito.
L’interesse nel complesso venuto in luce ha però offerto all’opera della Sovrintendenza la massima sollecitudine e comprensione da parte delle autorità locali che desiderano vivamente, a tutto loro onore, di poter mettere in evidenza e conservare in vista quanto documenta l’antica vita del luogo.
La mano d’opera perciò è stata messa a disposizione dal Comune di Staranzano avendovi inviato la Direzione degli scavi di Aquileia un operaio specializzato ed abile perché la sorveglianza sui lavori di sterramento fosse costante.
Verso la fine di maggio si avuto pure un sopralluogo da parte della Sopraintendente alle Antichità in persona, la dottoressa B. Forlati, che si è vivamente compiaciuta dei lavori in corso.
Da quanto oggi è stato messo in luce il visitatore riporta l’impressione di un complesso murario d’età romana interessante e vivace nelle sue strutture, nella sua ordinata disposizione topografica, nella semplice eleganza dei suoi mosaici. Ed è una scoperta che non desta meraviglia data la presenza a poca distanza verso ovest della strada romana che passava per il basso monfalconese, collegando Aquileia a Tergeste e le scoperte analoghe, di case e di opere di epoca romana, avvenute nella zona in anni precedenti.
Lo scavo ha messo in luce attualmente gli ambienti che si allineano lungo il lato est del complesso, rimarrebbe da esplorare la parte ovest con gli ambienti di collegamento nei lati sud e nord la cui continuazione è evidente dall’argine argilloso occidentale (fig.1).
Le strutture che si elevano dal terreno di base per un’altezza media di circa metri 0,50 si presentano di tre qualità diverse ed aiutano, insieme al livello e al tipo di pavimenti, a seguire la vicenda edilizia della casa. I muri che affiorano a profondità maggiore si presentano a ciottoli di fiume. La sezione normale di tali muretti a corsi regolari dà uno spessore medio di metri 0,45 e dimostra la loro erezione con circa quattro elementi collegati da malta biancastra di poca consistenza. La pianta della casa costruita a muri di ciottoli e in seguito ampliata da sul lato sud di circa quattro metri, ma nella fase prima, di cui ora parliamo, era costituita, nell’area scoperta almeno, poiché i muretti di ciottoli continuano sottoterra tanto verso Nord quanto verso Ovest, da tre vani (a, b, c) che si aprivano nell’interno verso un probabile corridoio (f). Il muro a ciottoli lungo il lato Est presenta all’esterno due piccoli contrafforti dello stesso suo tipo, disposti ad intervallo regolare dello spigolo Sud-Est della casa, rifiniti in modo da far pensare ad una loro funzione decorativa o strutturale connessa al muro perimetrale.
A sostegno, ad esempio, delle gronde di scolo del tetto. L’ampliamento della casa verso meridione con muri di tipo diverso riprende infatti il medesimo motivo del contrafforte sul lato Sud. Si noti che la distanza del contrafforte dallo spigolo a Sud Est è circa la stessa su tutti e due i lati. Questa equidistanza che riprende quella degli elementi aggettanti sul lato Est non può essere casuale (fig.2). L’ampliamento della casa avviene dunque come abbiamo or ora notato con struttura di tipo diverso: si reimpiegano i ciottoli risultanti dalla rovina di alcuni tratti dei muri precedenti e ad essi si aggiungono con poca malta gialliccia, più grassa, frammenti di tegole e mattoni sottili giallo chiari di fine argilla cotta in fornace, mantenendo un spessore medio di metri 0,45.
Più che nei muri, dove prevalgono i frammenti di tegole, i mattoni si incontrano numerosi nella terra che viene estratta e testimoniano con probabilità la struttura a file di mattoni regolari che avranno avuto le murature in elevato. Interessa rilevare come si cerchi di dare alle murature funzionali una certa organicità, alternando i filari di ciottoli con quelli di tegole frammentate, secondo un ritmo presente ovunque il fiume vicino avesse fornito ciottolame da costruzione agli abitanti.
Si veda l’esempio monumentale offerto dalla porta Romana di Torino che alterna il rosso vivo del mattone al bianco di ciottoli in una cadenza estremamente pittorica.
L’esterno del muro aggiunto ad est e a sud testimone ancor più validamente la funzione perimetrale del muro a ciottoli ad est e di quello più arretrato a sud, in quanto è più solido dei muri interni e cammina su uno zoccolo di base a leggero aggetto. Mancano inoltre tutto intorno attacchi d’altre murature o tracce di battuti pavimentali (fig.3).
Le variazioni ulteriori della pianta interna del complesso, sempre relativa alla zona messa in luce, sono portate da un terzo tipo di muratura, con spessore medio di mezzo metro costruita quasi soltanto con frammenti di tegole uniti da poca malta magra e grigiastra.
Mentre nei muri della seconda fase i frammenti di tegole erano disposti spesso a spina di pesce con gustoso senso decorativo oltre che con praticità di impiego, in questi muretti della terza fase il tono è quello di un arrangiamento strutturale che affastella tegole e mattoni con intendimento puramente funzionale e molta frettolosità esecutiva (fig.4).
Sono rappresentativi di questa fase i tre muretti costruiti sopra il pavimento del vano C in direzione Est Ovest ed il grosso basamento quadrangolare nell’area del vano D finora scoperto verso Sud.
La terza fase più che degli ampliamenti sembra quindi aver portato delle aggiunte interne risolte con materiale reimpiegato, tolto da qualche vecchio deposito perché vi si trovano tegole e mattoni di tipi e bolli vari, prevalendo però sempre l’argilla chiare fine tirata forma di spessore sottile.
I bolli più frequenti sono quindi già noti nella zona provenienti dalla fornaci di Q.CLODIUS AMBROSIUS, non che quelle più singolari di B. VETTIA, ASSIANI e L. PET., impressi negli elementi con caratteri diversi tali da dimostrare lo sviluppo nel tempo della produzione. Tipici a questo proposito i bolli della fornace di Q. CLODIUS AMBROSIUS.
Per quanto riguarda i livelli e la pavimentazione dei vani notiamo che i vani B e C legati ai muri più antichi e dagli stessi delimitati, presentano una pavimentazione a terra battuta con inseriti in pittoresco disordine di frammenti di bei ciottoli verdi, grigi, rossi insieme a qualche scaglia di terracotta rosso cupo.
Questo tipo di pavimento, il classico “signinum” di Plinio, è qui mirabilmente conservato nel vano B e continua ad essere in uso nelle fasi successive, mentre nel vano C che subisce l’ampliamento della seconda fase e la modifica della terza, il signinum è coperto dal pavimento della seconda fase a cubetti e regolare di cotto e tessellato normale bicromo, bianco nero con emblema centrale a scacchiera.
Anche il vano A è coperto da un tassellato analogo con la piccola scacchiera al centro, mentre e tutti gli altri ambienti presentano una uniforme e pavimentazione a cubetti di cotto (fig.4).
Il livello dei pavimenti tra la prima e la seconda fase quindi varia di qualche centimetro appena o non varia affatto (fig.5).
A sostegno, ad esempio, delle gronde di scolo del tetto. L’ampliamento della casa verso meridione con muri di tipo diverso riprende infatti il medesimo motivo del contrafforte sul lato Sud. Si noti che la distanza del contrafforte dallo spigolo a Sud Est è circa la stessa su tutti e due i lati. Questa equidistanza che riprende quella degli elementi aggettanti sul lato Est non può essere casuale (fig.2). L’ampliamento della casa avviene dunque come abbiamo or ora notato con struttura di tipo diverso: si reimpiegano i ciottoli risultanti dalla rovina di alcuni tratti dei muri precedenti e ad essi si aggiungono con poca malta gialliccia, più grassa, frammenti di tegole e mattoni sottili giallo chiari di fine argilla cotta in fornace, mantenendo un spessore medio di metri 0,45.
Più che nei muri, dove prevalgono i frammenti di tegole, i mattoni si incontrano numerosi nella terra che viene estratta e testimoniano con probabilità la struttura a file di mattoni regolari che avranno avuto le murature in elevato. Interessa rilevare come si cerchi di dare alle murature funzionali una certa organicità, alternando i filari di ciottoli con quelli di tegole frammentate, secondo un ritmo presente ovunque il fiume vicino avesse fornito ciottolame da costruzione agli abitanti.
Si veda l’esempio monumentale offerto dalla porta Romana di Torino che alterna il rosso vivo del mattone al bianco di ciottoli in una cadenza estremamente pittorica.
L’esterno del muro aggiunto ad est e a sud testimone ancor più validamente la funzione perimetrale del muro a ciottoli ad est e di quello più arretrato a sud, in quanto è più solido dei muri interni e cammina su uno zoccolo di base a leggero aggetto. Mancano inoltre tutto intorno attacchi d’altre murature o tracce di battuti pavimentali (fig.3).
Le variazioni ulteriori della pianta interna del complesso, sempre relativa alla zona messa in luce, sono portate da un terzo tipo di muratura, con spessore medio di mezzo metro costruita quasi soltanto con frammenti di tegole uniti da poca malta magra e grigiastra.
Mentre nei muri della seconda fase i frammenti di tegole erano disposti spesso a spina di pesce con gustoso senso decorativo oltre che con praticità di impiego, in questi muretti della terza fase il tono è quello di un arrangiamento strutturale che affastella tegole e mattoni con intendimento puramente funzionale e molta frettolosità esecutiva (fig.4).
Sono rappresentativi di questa fase i tre muretti costruiti sopra il pavimento del vano C in direzione Est Ovest ed il grosso basamento quadrangolare nell’area del vano D finora scoperto verso Sud.
La terza fase più che degli ampliamenti sembra quindi aver portato delle aggiunte interne risolte con materiale reimpiegato, tolto da qualche vecchio deposito perché vi si trovano tegole e mattoni di tipi e bolli vari, prevalendo però sempre l’argilla chiare fine tirata forma di spessore sottile.
I bolli più frequenti sono quindi già noti nella zona provenienti dalla fornaci di Q.CLODIUS AMBROSIUS, non che quelle più singolari di B. VETTIA, ASSIANI e L. PET., impressi negli elementi con caratteri diversi tali da dimostrare lo sviluppo nel tempo della produzione. Tipici a questo proposito i bolli della fornace di Q. CLODIUS AMBROSIUS.
Per quanto riguarda i livelli e la pavimentazione dei vani notiamo che i vani B e C legati ai muri più antichi e dagli stessi delimitati, presentano una pavimentazione a terra battuta con inseriti in pittoresco disordine di frammenti di bei ciottoli verdi, grigi, rossi insieme a qualche scaglia di terracotta rosso cupo.
Questo tipo di pavimento, il classico “signinum” di Plinio, è qui mirabilmente conservato nel vano B e continua ad essere in uso nelle fasi successive, mentre nel vano C che subisce l’ampliamento della seconda fase e la modifica della terza, il signinum è coperto dal pavimento della seconda fase a cubetti e regolare di cotto e tessellato normale bicromo, bianco nero con emblema centrale a scacchiera.
Anche il vano A è coperto da un tassellato analogo con la piccola scacchiera al centro, mentre e tutti gli altri ambienti presentano una uniforme e pavimentazione a cubetti di cotto (fig.4).
Il livello dei pavimenti tra la prima e la seconda fase quindi varia di qualche centimetro appena o non varia affatto (fig.5).
Interessante è notare i frammenti di intonaco che aderiscono ancora alle pareti est sud e ovest nel vano C e che si fondano sul tessellato pavimentale, dimostrando la precedenza del mosaico nell’ordine dell’esecuzione dei lavori nella casa e la contemporaneità del pavimento in cotto e del tassellato perfettamente suturati (fig 6).
Rari i frammenti di anfore e vasi, mancante assolutamente ogni tipo di suppellettile, la costruzione innalza debolmente la sua voce da un’unica iscrizione su pietra.
Come i muri anche la pietra dimostra d’esser stata rielaborata ed incisa in due periodi diversi.
Il tipo e quello di un frammento di piattaforma quadrangolare (57x57x0,90) che sul fianco reca l’epigrafe B.D.V. PETICIA LL AR. e sulla superficie la più tarda scritta NIGELI quasi appena graffita. La pietra è stata rinvenuta nel vano c insieme ad una ancòra in sito priva di iscrizioni ma di proporzioni circa analoghe (59x60x0,09) con foro centrale in superficie.
Allo stato attuale dello scavo che qui semplicemente presento riservandomi ulteriori precisazioni a scavo ultimato per evitare errori di valutazione o di interpretazione così facili sul terreno “a sorpresa” dell’ Archeologia, è possibile dedurre quanto segue: ci troviamo di fronte ad un edificio la cui origine per tipi di strutture di pavimenti può essere posta al confine e tre primo secolo avanti Cristo e il primo secolo dopo Cristo, che si sviluppa con ampliamenti in pianta e pavimentazioni a mosaico geometrico bianco-nero verso il secondo secolo dopo cristo, assumendo in seguito un aspetto particolare.
Quest’ultimo le viene conferito dalle modifiche interne poco canoniche per la vita di una semplice villa rurale, come il primitivo aspetto del complesso ce lo farebbe denominare tipologicamente. Infatti se il vano c nella sua seconda fase fa pensare ad una sua probabile distrazione a triclinio con il pavimento di cotto nell’area di letto tricliniare ed il tappeto musivo l’area libera, nella terza fase è diviso stranamente in quattro piccoli vani che procedono sopra il pavimento in cotto (vedi fig. 1).
Perché?
E quale è lo scopo del grosso basamento quadrangolare costruito in D pure sopra il pavimento in cotto (fig.7)?
Troppo grande per essere la base di un pilastro o di una colonna, il cubo rimane per ora a sé stante ed aspetta una soluzione nel procedere dello scavo verso Ovest. Ma l’iscrizione trovata apre una possibilità nuova di interpretazione: non potrebbe essere stato adibito ad un certo momento a sacello, a sala di culto privato o pubblico?
Potrebbero esserlo stato qual orrendo descrizione la sigla B.D.V fosse leggibile sicuramente come B(ONAE) D(EAE) V(OTUM), interpretando la pietra come il basamento di un elemento (labrum?) offerto da Peticia, probabile liberta di un Lucio, di cognome AR(RIANA?) quale voto alla Bona Dea, divinità molto nota ed onorata della nostra regione (confronta il sacello di Trieste e del culto nell’Istria e nell’Aquileiese), specialmente dalle donne proprio se liberte.
In questo caso non meraviglierebbero la soglia a nord in pietra, rifinita, alta, con i fori laterali per i cardini dei battenti della porta, né le speciali suddivisioni del vano orientale che potrebbero corse essere considerate dei depositi d’offerte o dei segreti recessi di culto (alla Bona Dea si associavano spesso alte divinità), né qualche traccia di transenna forse riconoscibile tra i pavimento in cotto ed il tassellato, lungo la loro sutura, sempre perfetta e stringente, nella zona settentrionale, nè il basamento in pietra in sito sul lato meridionale.
Ma per convalidare le nostre ipotesi dobbiamo ancora attendere finchè la terra ci avrà aperto ogni suo segreto. Notiamo intanto che la gens PETICIA è ben conosciuta nella X Regio Venezia et Histria attraverso varie iscrizione rinvenute in luoghi diversi, a buona prova della diffusione della famiglia nell’area.
Tracce di fuoco, danni recati ai pavimenti dal materiale rovinato nella caduta dall’alto, documentano il piccolo dramma vissuto dall’edificio forse già in epoca imperiale con la discesa dei premi barbari o delle legioni avversarie nelle lotte imperiali del III secolo.
Il saccheggio o la fuga degli abitanti sotto l’incubo del pericolo ha fatto sì che la suppellettile migliore e quanto era salvabile fosse portato via lontano. Ecco forse perché lo scavo non ha restituito nulla di quanto poteva dirci di più sugli uomini che hanno animato con la loro esistenza il breve tratto di spazio e di tempo compreso tra le mura di ciottoli e mattoni.
Valnea Scrinari
Valnea Scrinari è stata un’ archeologa triestina laureatasi dapprima a Trieste nel 1945 con il professor Mario Mirabella Roberti, di cui fu poi assistente, e poi a Roma, in Lettere classiche. Già Sovrintendente delle Venezie, si dedicò al Museo archeologico di Aquileia per passare successivamente alla Direzione della sovrintendenza alle antichità di Roma e poi di Ostia.